La detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti è reato automaticamente ostativo alla permanenza dello straniero sul territorio nazionale, salva la possibilità di valutare nuovi elementi sopravvenuti ai sensi del comma 5 dell’art. 5 del D.Lgs. 286/98.
Se lo straniero ha ripreso a lavorare al momento dell’adozione del provvedimento di rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, la questura deve valutare favorevolmente la circostanza sopravvenuta ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. 286/98.
Non può rifiutarsi il rinnovo del permesso di soggiorno quando il reddito, che deriva dalla capitalizzazione della somma percepita come risarcimento a seguito di infortunio sul lavoro, consente allo straniero un sufficiente sostentamento.
L’utilizzo del velo o del burqua o simili generalmente non è diretto ad evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture e pertanto l’uso non può essere proibito ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 152/1975.
La valutazione negativa della domanda di rilascio del permesso di soggiorno CE non può fondarsi unicamente sulla esistenza di una condanna penale ma deve prendere in esame la durata del soggiorno nel territorio nazionale e l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero.
Il questore deve valutare autonomamente i requisiti per il mantenimento del permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell’art. 18 del T.U. immigrazione, e non limitarsi al parere negativo del P.M.
La spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza non consente l'espulsione automatica dello straniero.
L’art. 19, comma 1, del D.lgs. 286/98, deve essere letto congiuntamente al successivo art. 20 il quale riserva ad una valutazione di carattere politico le misure di protezione temporanea da adottarsi per rilevanti esigenze umanitarie con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il diniego del risarcimento per l’ingiusta detenzione subita da un capofamiglia di un gruppo di cultura rom, che si fondi sulla colpa grave del medesimo ritenuta sussistere per il solo fatto della sua qualità di capofamiglia di uno specifico gruppo etnico, è in contrasto con i principi di uguaglianza garantiti dal diritto internazionale.
Uno Stato membro può limitare il diritto di un proprio cittadino di recarsi nel territorio di un altro Stato membro dal quale è stato precedentemente rimpatriato perché vi si trovava illegalmente, ma tale decisione si deve fondare sulla valutazione del comportamento personale del soggetto interessato.
Dichiarare pubblicamente di non poter assumere stranieri poiché i clienti non gradiscono che entrino nelle loro case cittadini di altre nazionalità, costituisce discriminazione diretta, ed il datore di lavoro deve dimostrare che la prassi effettiva di assunzione dell’impresa non corrisponde a tali dichiarazioni.
L’espulsione di una cittadina ugandese affetta da AIDS - ma attualmente non in pericolo di vita - non costituirebbe una violazione dell’Articolo 3 della CEDU, sebbene in Uganda i farmaci retrovirali non sempre siano facilmente reperibili e, in mancanza delle cure alle quali è attualmente sottoposta, la donna morirebbe entro uno o due anni.
I lavori parlamentari alla Camera sul ddl di conversione del Decreto legge n. 92/2008: il Governo pone la questione di fiducia.
Camera e Senato: le Commissioni concludono l’esame dello schema di d.lgs. in materia di ricongiungimento familiare ed esprimono parere favorevole con osservazioni.
Camera e Senato: le Commissioni esprimono parere favorevole con osservazioni sullo schema di d.lgs. in materia di status di rifugiato.
Un’Europa che agisce per rispondere alle sfide di oggi.