Inaugurazione dell’Anno giudiziario 2016. Terrorismo internazionale, traffico di esseri umani e immigrazione clandestina negli interventi del primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio e del procuratore generale Pasquale Ciccolo.

Corte di cassazione
Interventi del 28 gennaio 2016

Parti estratte


 

Relazione sull'amministrazione della Giustizia nell'anno 2015 del primo presidente Giovanni Canzio

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Sarebbe anche auspicabile, pur nella mutevolezza degli assetti economico-sociali da cui è contraddistinta la modernità, che il Legislatore evitasse d’intervenire sul tessuto normativo con modifiche troppo frequenti, spesso ispirate a logiche emergenziali poco attente ai profili sistematici dell’ordinamento, rendendo così difficile il formarsi di orientamenti giurisprudenziali di lungo periodo e, per ciò stesso, più stabili ed affidabili.
Cito solo due esempi di attualità: il reato d’immigrazione clandestina e l’istituto della prescrizione, in ordine ai quali è in atto una riflessione del Parlamento e del Governo.
Per il primo, non vi è dubbio che la risposta sul terreno del procedimento penale si è rivelata inutile, inefficace e per alcuni profili dannosa, mentre la sostituzione del reato con un illecito e con sanzioni di tipo amministrativo, fino al più rigoroso provvedimento di espulsione, darebbe risultati concreti.

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Viene segnalata, soprattutto nei distretti in cui le carenze di personale sono particolarmente rilevanti, l’esigenza di procedere, dopo l’accorpamento degli uffici di minori dimensioni e l’eliminazione delle sezioni distaccate (la cd. nuova geografia giudiziaria), alla ridefinizione delle piante organiche dei magistrati e del personale amministrativo, la cui distribuzione sul territorio risulta spesso incongrua soprattutto negli uffici in cui nuovi fenomeni sociali (come l’immigrazione clandestina) impongono un oggettivo aggravio di lavoro.

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L’immigrazione clandestina è un fenomeno che da alcuni anni interessa le regioni meridionali, porta di ingresso di flussi di stranieri provenienti da Paesi estremamente poveri o in guerra, con evidenti riflessi sugli uffici giudiziari competenti per i procedimenti riguardanti migranti che chiedono di accedere al regime di protezione internazionale. Naturalmente, anche il settore penale di questi uffici è fortemente interessato dalla portata del fenomeno migratorio.
Persiste la terribile minaccia del terrorismo internazionale, soprattutto di matrice jihadista, sicché non vanno trascurati i segnali delle diverse indagini in corso per attività terroristiche.

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La presenza tra i detenuti di un rilevante numero di stranieri, complessivamente 17.340, costituisce un dato allarmante. Si tratta di condannati che, non avendo nella maggior parte dei casi un domicilio in Italia, difficilmente possono beneficiare di misure alternative alla detenzione. La principale novità degli ultimi anni, che ha avuto immediate ripercussioni sull’attività dei magistrati di sorveglianza, è quella introdotta dal d.l. 22 dicembre 2011 n. 211 (conv. con modifiche dalla legge n. 9/2012), che ha elevato da 12 a 18 mesi la soglia massima di pena entro cui è ammessa la concessione della misura della esecuzione presso il domicilio già prevista dalla legge n. 199/2010. Orbene, per effetto della legge n.199/2010 e successive modifiche, dall’entrata in vigore fino al 31 dicembre 2015, ben 18.193 detenuti sono usciti dagli istituti penitenziari, ma di questi solo 5.556 sono stranieri.

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Intervento del procuratore generale Pasquale Ciccolo

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I reati di terrorismo
La materia in esame è stata oggetto, nell’anno appena trascorso, di un intervento legislativo di ampia portata, attuato, come rammentato innanzi, con il decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, intervenuto a fronte della minaccia terroristica più immediata, concreta e pericolosa, proveniente dalla organizzazione nota come “Islamic State in Iraq and the Levant” (ISIL) ovvero denominata “DAESH”.
Tale intervento legislativo – il quale ha consentito al nostro Paese di conformare l’ordinamento interno alla normazione internazionale (risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nn. 2170 e 2178 del 15 e del 24 settembre 2014) ed europea (Regolamento UE n. 98 del 15 gennaio 2013) – ha costituito, nello specifico, la reazione ai drammatici fatti avvenuti a Parigi il 7 gennaio 2015, purtroppo seguiti da quelli ancor più tragici accaduti il 13 novembre dello stesso anno.
Esso va valutato con assoluto favore sia per la sua tendenziale completezza sia per la scelta di non abdicare a talune garanzie fondamentali, quali la libertà personale, la libertà delle comunicazioni o il due process of law, in nome della pubblica sicurezza, invece costruendo un sistema in equilibrio fra sicurezza e garanzie, rispettoso del principio di legalità e dei diritti di libertà protetti dalla Costituzione e dalla CEDU.
Con il provvedimento normativo, l’attività investigativa è stata potenziata sia sul versante operativo (attribuendo al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria incisivi poteri volti a neutralizzare l’utilizzazione di internet per le attività terroristiche; ampliando lo spazio di intervento preventivo mediante il ricorso agli strumenti dei colloqui informativi e delle intercettazioni preventive, estesi ai delitti con finalità terroristica di matrice internazionale; allargando la platea dei soggetti facoltizzati ad agire sotto copertura) sia in punto di coordinamento, esteso a livello nazionale mediante l’attribuzione al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo di alcune specifiche competenze, sul presupposto che la mancanza di coordinamento, sul piano nazionale, delle investigazioni avrebbe potuto compromettere l’efficacia delle azioni preventiva e repressiva.
In linea generale, deve essere evidenziato che la creazione di un organo unico quale terminale ultimo verso il quale far convergere le diverse attività investigative è il frutto di una scelta ben precisa: l’individuazione del coordinamento investigativo quale unico strumento efficace per raccordare diversi fatti apparentemente poco rilevanti, unitariamente valutandoli quale segnale di una concreta minaccia terroristica.
Si tratta di una scelta assolutamente condivisibile, atteso che i fenomeni criminali in questione possono manifestarsi in forme parcellizzate sul territorio nazionale, con la conseguenza che solo un efficace coordinamento investigativo può svelarne sin da subito la potenziale complessiva portata criminale.
Così agendo il legislatore, peraltro, ha correttamente valutato anche la dimensione sovranazionale del fenomeno stesso, dalla quale deriva la necessità per lo Stato di dotarsi di un organo giudiziario in grado di rapportarsi con le competenti autorità estere in maniera unitaria, fungendo da referente per gli organi di cooperazione giudiziaria straniera e sovranazionale, oltre che favorendo l’interlocuzione tra organi giudiziari nazionali e corrispondenti uffici stranieri, allorché i primi debbano per la loro azione raccordarsi con i secondi.
La Procura generale della Corte di cassazione, quale ufficio che esercita la sorveglianza sulla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo istituita nel suo stesso ambito, ma ancor più in virtù dei poteri di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 106 del 2006 citato, si è posta immediatamente il tema degli obblighi ad essa derivanti dal suo ruolo di punto di raccordo nazionale ai fini sia delle verifiche sui poteri organizzativi attribuiti ai dirigenti delle procure della Repubblica sia, ed ancor più, dell’uniformità dell’esercizio dell’azione penale.
Ciò anche in presenza di una peculiare ragione che rendeva evidente come, in materia di reati di terrorismo, più che in altri campi, il suo ruolo assuma rilevanza.
Infatti è apparsa immediatamente chiara sia l’assoluta necessità di un costante ed organico coordinamento, in sede distrettuale, tra la procura avente sede nel capoluogo del distretto, alla quale sono attribuite le indagini per i reati commessi con finalità di terrorismo, e quelle comunemente indicate, in tale contesto, come circondariali, sia l’imprescindibilità del ruolo propulsivo che in materia possono svolgere i procuratori generali presso le Corti di appello.
Tanto alla luce delle esperienze che hanno contraddistinto, sotto il profilo organizzativo e di coordinamento, l’azione di contrasto alla criminalità organizzata, anche terroristica.
Difatti, storicamente, ancor prima dell’intervento del legislatore, si è registrata l’anticipazione di organiche risposte repressive a livello giudiziario, mediante forme spontanee di “autocoordinamento”, quali la effettuazione di indagini svolte collettivamente da più magistrati riuniti in gruppi (pool) di lavoro.

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Altrettanto confortante è il fatto che vari dirigenti hanno predisposto moduli organizzativi improntati alla tempestiva individuazione di “reatispia” dell’agire di organizzazioni terroristiche, individuando un’ampia gamma di siffatti reati: senza pretesa di esaustività vanno segnalati quelli in materia di armi (in particolare il traffico delle medesime con coinvolgimento di intermediari nativi di paesi nei quali è diffuso il terrorismo); l’incitamento alla discriminazione razziale commessa mediante internet ed in generale i reati informatici; le falsificazioni di documenti, in particolare di passaporti; talune condotte di riciclaggio ed il trasferimento di valuta all’estero.
Ciò era ed è essenziale, posto che il fenomeno terroristico di matrice islamica è connotato dal coinvolgimento nelle relative attività di soggetti, presenti (anche) nel territorio nazionale, in grado di perpetrare atti terroristici in loco senza mantenere stabili rapporti di frequentazione con altri adepti (come invece sovente avviene per gli aderenti alle organizzazioni di tipo mafioso), ricorrendo a forme di auto-addestramento (i cd. lupi solitari) ovvero in grado di raggiungere le zone di guerra all’estero, indi eventualmente rientrare in Italia adeguatamente addestrati (i cd. foreign fighters).
Su tali basi va riaffermata la necessità di ricorrere a forme al contempo strutturate ed elastiche di coordinamento delle indagini e di gestione dei dati disponibili in materia di reati di terrorismo internazionale, ed in tal senso questo Ufficio continuerà a valorizzare il ruolo dei procuratori generali dei distretti ed a collaborare con il Procuratore nazionale, diffondendo le buone prassi realizzate a livello distrettuale.

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In tale contesto, vanno valutate positivamente le già segnalate iniziative di elaborazione di specifici protocolli di intesa, oltre all’adesione a quello proposto dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
È diffuso il convincimento circa la necessità di monitorare fenomeni che spesso appaiono connessi a quello in esame, quali – tra i più rilevanti – l’immigrazione clandestina (a tale riguardo, ad esempio, il procuratore generale di Lecce la segnalato l’adozione di iniziative specifiche connesse al fenomeno dell’immigrazione attraverso il canale d’Otranto, fortemente incrementatosi quanto ai flussi provenienti dalla Siria), il traffico di armi, la falsificazione di documenti di riconoscimento, il trasferimento della valuta all’estero e le connesse segnalazioni di operazioni sospette. A quest’ultimo proposito, molti procuratori generali hanno evidenziato la necessità di considerare le implicazioni finanziarie che sovente accompagnano i reati di terrorismo, imponendosi la necessità di indagini bancarie, in particolare sul trasferimento internazionale di valori, attività nell’ambito della quale particolare rilievo assume il controllo dei money transfer (al riguardo sono significativi i collegamenti evidenziati dal procuratore generale di Brescia circa un’agenzia di trasferimento del denaro operante in quella città, risultata collegata ad attentati terroristici avvenuti a Mumbai, India).
Quale strumento di prevenzione e di indagine è anche indicata la verifica di collegamenti tra terrorismo e criminalità organizzata comune.
Dalle citate relazioni emerge, inoltre, la costituzione di gruppi di lavoro composti da magistrati delle varie procure del distretto.
In alcuni territori del Nord Italia si segnala, in ambienti di militanza musulmana estremista, il fenomeno della propaganda e dell’arruolamento nonché l’effettuazione di viaggi verso i paesi di origine, per l’addestramento a fini terroristici, di persone già inserite in Italia, per precedente immigrazione e regolarizzazione. Particolarmente impegnata su questo fronte è la procura della Repubblica di Milano: come segnalato dal procuratore generale di quel distretto, numerose indagini a carico di persone note o, allo stato, ignote sono in corso e, nell’ambito di una di queste sono state formulate richieste cautelari, accolte dal giudice, nei confronti di soggetti gravemente indiziati di appartenere all’organizzazione terroristica auto-denominatasi “Stato islamico”.
Le procure generali del Sud Italia risultano, in genere, impegnate in attività di rilevamento del possibile ingresso di terroristi, in fase di immigrazione.
In taluni casi è emerso come sulle rotte dei traffici internazionali si intersechino tra loro attività di criminalità organizzata e vicende di terrorismo internazionale.
Lo scenario complessivo, dunque, è contrassegnato da importanti novità, derivanti dalla pronta risposta fornita dagli uffici giudiziari inquirenti alla incisiva riforma legislativa in materia. A tanto purtroppo non si accompagna altrettanta efficacia quanto alle conseguenti necessità di aumento dell’organico del personale giudiziario ed amministrativo delle procure della Repubblica, ed in particolar modo di quelle maggiormente oberate anche per l’intensificarsi di altri fenomeni criminali.

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La successiva riunione semestrale del 10-11 dicembre 2015, invece, ha riguardato la tematica della conservazione dei dati nell’ambito della fornitura dei servizi di comunicazione accessibili al pubblico e delle reti pubbliche di comunicazione, sulla quale la nota sentenza C-293/12 della Corte di Giustizia – che ha invalidato la direttiva 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per contrarietà ai principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – ha acceso il dibattito. Di particolare importanza per il nostro Paese è stato poi l’inserimento, all’ordine del giorno della riunione, delle tematiche relative al traffico (inteso in senso ampio) di esseri umani ed al contrasto delle attività criminali organizzate tese allo sfruttamento del grave fenomeno.
Attraverso uno stretto contatto con la Procura della Repubblica di Catania l’argomento venne portato con grande efficacia alla attenzione di Eurojust e del Forum consultivo alla riunione del dicembre 2014, durante la Presidenza italiana. In seguito, grazie anche alla sempre proficua collaborazione con la Direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo, l’argomento è stato nuovamente inserito tra i temi del Forum per dicembre 2015. Ed ancora, il Procuratore generale ha partecipato alla riunione operativa svoltasi presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo il 1° ottobre 2015, durante la quale – alla presenza del Ministro della giustizia – è stato sottoscritto un protocollo di intesa e collaborazione tra Eurojust e la Direzione della missione europea EU-MED, un risultato lusinghiero della leale collaborazione instaurata tra diversi uffici del pubblico ministero i quali, pur nelle differenti competenze, hanno saputo operare ad un medesimo fine.

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L’abbattimento delle barriere è un dato essenziale a fronte di un contesto criminale, quale quello del terrorismo internazionale, caratterizzato da “molecolarità” delle strutture e “pulviscolarità” delle condotte, composto da “non-Stati” e da “territori indefiniti”, in cui quindi diventa indispensabile unificare la raccolta delle informazioni, permettere una tempestiva condivisione delle stesse, coordinarne l’impiego e, infine, sviluppare sistemi di elaborazione e di analisi che tengano conto della complessità dei big data, ossia del sistema delle informazioni relative alla criminalità organizzata di ogni tipo.
Al contempo, il sistema SIDDA/SIDNA (che viene, in economia, esteso ai reati di terrorismo) ha mostrato la capacità di selezionare, tra gli enormi volumi di dati a disposizione, ciò che realmente occorre. Rendendo partecipi le procure distrettuali della diretta realizzazione di un unico patrimonio informativo condiviso presso la DNA si determina un’architettura non solo più efficiente ed efficace ma anche più sicura ed economica.
Elemento fondamentale, che pone tale logica di accentramento strutturale coerente anche sotto il profilo giuridico in termini di riservatezza delle informazioni, è la disposizione per cui in ogni caso nessun dato custodito nella banca dati della procura distrettuale può essere sottratto all’esigenza conoscitiva del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per coordinare e dare impulso alle indagini, rendendo nella sostanza in ogni istante la banca dati fisica oggi presente nelle Procure distrettuali perfettamente speculare alla sua equivalente presso la DNA.
Per assicurare l’effettività del coordinamento in materia di indagini contro il terrorismo, poi, la DNA riferisce di avere promosso (e già siglato alcuni) “protocolli organizzativi” fra le procure distrettuali e quelle ordinarie di ciascun distretto, sul modello di quelli adottati in materia di indagini antimafia, al fine di ampliare e potenziare la rete delle conoscenze, prevenire eventuali contrasti tra pubblici ministeri e assicurare un costante scambio informativo tra i magistrati della procura distrettuale e i magistrati che, presso le procure ordinarie, si occupano di procedimenti per reati che potenzialmente riguardano la criminalità terroristico-eversiva.

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Si sottolinea l’assunzione crescente di un ruolo attivo svolto dal Servizio, promotore di iniziative anche non direttamente sollecitate dalle DDA, al fine di assicurare un più incisivo ed efficace supporto dell’Ufficio nei rapporti di cooperazione giudiziaria internazionale. Ciò in particolare nei procedimenti per i reati di traffico di migranti agevolato da organizzazioni criminali, per i quali sono state svolte non solo attività di supporto al coordinamento investigativo in senso stretto, ma anche di orientamento strategico, con la proposizione di possibili linee-guida per la soluzione di questioni giuridiche e di problemi operativi emersi nelle relative indagini.
In ordine alle rogatorie relative ai reati di cui all’art. 51, comma 3- bis, c.p.p., la relazione segnala che quelle ricevute nel citato periodo di riferimento sono state complessivamente 193 (151 attive e 42 passive), con un consistente incremento delle rogatorie formulate verso le competenti autorità spagnole e della Confederazione elvetica; che, inoltre, tra i Paesi terzi (non UE), gli Stati Uniti sono quelli verso cui è diretto il maggior numero di rogatorie avanzate dalle autorità italiane, dato da correlare alla circostanza che ivi hanno sede i più importanti internet service provider (Microsoft, Apple, Google) e che molte richieste di assistenza giudiziaria sono state finalizzate all’acquisizione di dati informatici connessi alle comunicazioni attraverso social network.

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La relazione del Procuratore nazionale illustra il campo di attività messe in opera nel settore in discorso, muovendo dall’adozione – dopo un tragico naufragio di migranti a Lampedusa, nel mese di ottobre 2013 – di linee guida nel gennaio 2014, volte a promuovere prassi omogenee tra le direzioni distrettuali antimafia per il possibile uso di poteri coercitivi, in acque internazionali, da parte delle unità navali italiane, anche operanti con il supporto di Frontex nel contesto della missione europea Triton.
Da quel momento in poi l’impegno della DNA è divenuto costante in materia e si è intensificato, sia sul piano nazionale, con la definizione di protocolli operativi per lo scambio di informazioni con le autorità nazionali e con la elaborazione di direttive, sia sul piano internazionale, con l’intensificazione dei rapporti di collaborazione con autorità giudiziarie straniere (dei Paesi di origine, di transito ovvero di destinazione dei migranti) e con la definizione, quale corrispondente nazionale, di più efficaci protocolli di lavoro con la rappresentanza italiana di Eurojust.
Di rilievo è stato l’inserimento della DNA nel flusso informativo originato dagli sbarchi di immigrati clandestini in Italia, così da ricevere tempestiva notizia dal Servizio immigrazione del Ministero dell’interno di quanto giornalmente accade. Tale flusso di dati ha consentito di segnalare i casi di maggior rilievo alle DDA e al contempo di poter assumere le opportune iniziative di impulso investigativo, collegando gli eventi migratori ai singoli filoni di indagine ed individuando relazioni utili ai fini del coordinamento nazionale.
In particolare, nel mese di luglio 2015 è stato aggiornato il quadro conoscitivo sul fenomeno criminale e sono state concordate modifiche ed integrazioni alle modalità di approccio allo stesso, in considerazione dell’avvio della prima fase della missione EUNAVFOR-MED decisa dall’Unione europea (con la decisione n. 2015/778 del Consiglio del 18 maggio 2015), finalizzata a smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani nel mediterraneo centro-meridionale.
In data 14 luglio 2015 hanno fatto seguito ulteriori linee-guida, per agevolare, da parte delle unità navali italiane impegnate in interventi di soccorso in mare, la tempestiva individuazione delle procure distrettuali cui poter fare riferimento, nel rispetto delle regole processuali sulla competenza per territorio.
Quindi, nel mese di ottobre 2015, alla vigilia dell’avvio della fase 2 della missione EUNAVFOR-MED, si è tenuta una riunione di coordinamento strategico ad hoc, finalizzata ad analizzare le possibili conseguenze, sul piano giudiziario, scaturenti dal passaggio alla seconda fase della citata missione, che prevede, nel rispetto del diritto internazionale applicabile, un impiego più incisivo degli assetti militari nel contrasto all’attività degli smugglers/traffickers, con la possibilità di effettuare attività di boarding (abbordaggio), search (ispezione), seizure (sequestro) e diversion (dirottamento coatto verso un porto nazionale). Nel contesto di tale riunione è stato offerto un importante contributo di riflessione, costituito da un possibile – e condiviso – “capitolato” degli atti urgenti di polizia giudiziaria in acque territoriali in caso di sbarco di migranti, allo scopo di assicurare al procedimento penale tutte le fonti di prova.
Oggetto di condivisione è stato anche il protocollo di intesa stipulato il 22 settembre 2015 tra Frontex ed il Comando della missione di EUNAVFOR-MED, sulle procedure operative intercorse tra i due organismi, circa la possibile presenza, a bordo della unità navale straniera della missione UE, di un ufficiale di collegamento italiano e sui diversi compiti che questi potrebbe svolgere, nonché sulle possibili interazioni tra il Comandante della nave straniera e l’autorità giudiziaria italiana.

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