Roma, 24 gennaio 2025
Paragrafo estratto:
Le due declinazioni dell’intervento giurisdizionale sui diritti dei cittadini stranieri riguardano, da un lato, il diritto alla protezione internazionale e nazionale per chi approda nel nostro paese come richiedente asilo, dall’altro, il controllo di legalità sulle misure che la pubblica autorità adotta per regolare l’ingresso ed il soggiorno irregolari nel nostro paese.
Per sua natura e vocazione, il contesto delle fonti, all’interno del quale la giurisdizione esercita in questi due ambiti, è quello costituzionale, unionale e convenzionale. Costituzionale, perché le ingerenze dei pubblici poteri, pur dettate da interessi pubblici di primario rilievo, tendenzialmente incidono sui diritti delle persone straniere alla libera circolazione, alla ricerca di un lavoro e di una esistenza libera e dignitosa, sia quando verificano la legittimità degli ingressi e dei soggiorni, con interventi di regolazione dei flussi migratori, sia quando verificano la sussistenza delle condizioni di legge per l’esercizio del diritto d’asilo. Unionale, perché la cornice cogente all’interno della quale si colloca la disciplina legislativa interna delle misure di allontanamento e rimpatrio e ancora più incisivamente, del diritto d’asilo, è quella del diritto dell’Unione europea, anch’esso, come la legislazione interna, in continua modificazione, risultando condizionato dall’andamento del fenomeno migratorio, ovvero da fattori geopolitici mondiali e dall’avvicendamento dei decisori politici nei paesi dell’Unione. Convenzionali, perché il sistema della protezione internazionale moderno nasce dalla Convenzione di Ginevra, firmata il 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 722 del 1954, sul diritto al rifugio politico e poggia sulle Convenzioni Onu e del Consiglio di Europa sui diritti umani.
Il controllo di legalità e l’intervento nomofilattico si sono, conseguentemente, sviluppati all’interno di questo ampio contesto sovranazionale di fonti e di interventi delle Corti Europee: la Corte di Lussemburgo, come meglio precisato nel paragrafo successivo, sempre più interrogata dal giudice italiano e la Corte EDU, che detta i principi conformativi del corretto bilanciamento tra diritti convenzionalmente riconosciuti ed ingerenza legittima e proporzionata dell’intervento dei pubblici poteri.
Nel periodo in esame, l’intervento nomofilattico sulle misure di allontanamento del cittadino straniero che entra irregolarmente nel nostro paese si è intensificato, investendo, in particolare, le procedure di controllo degli ingressi alla frontiera o in zona di transito e le misure di limitazione della libertà personale che ne possono conseguire, in attesa della definizione della procedura di rimpatrio o, ben più frequentemente, in attesa dell’esame della domanda di protezione internazionale formulata, nella maggior parte dei casi, informalmente già all’ingresso o, più specificamente e formalmente, al primo contatto con l’autorità giurisdizionale, ovvero davanti al giudice di pace che esamina la legittimità del trattenimento. Proprio la stretta connessione tra ingresso succeduto ad attraversamento irregolare della frontiera interna o a soccorso in mare e formulazione della domanda di protezione internazionale è stata oggetto di rilevante intervento interpretativo del complesso di norme che, partendo dall’art. 8 della Direttiva UE 2013/32, si completano sul piano della legislazione interna con l’art. 10-ter del d.lgs n. 286 del 1998 e con gli artt. 2 e 3 d.lgs n. 142 del 2015. Allo straniero condotto nei punti di crisi, che è stato rintracciato in una delle due situazioni, deve essere in ogni caso assicurata un’adeguata informazione sulla procedura di protezione internazionale da parte delle autorità competenti, dovendosi in mancanza ritenere nullo il decreto di respingimento del medesimo, con invalidità che si riverbera anche sul conseguente provvedimento di trattenimento (Sez. 1, n. 10819 del 2024). Al riguardo non è sufficiente che la autorità pubblica indichi genericamente che il soggetto è stato compiutamente informato, se, a seguito della contestazione dell’interessato, nulla emerge in ordine alla informativa dal foglio notizie o da altri atti, documenti o mezzi di prova offerti dalla amministrazione (Sez. 1, n. 32070 del 2023; n. 4223 del 2024).
Il controllo di legalità sui trattenimenti non si è limitato a questo rilevante profilo, ma ha investito altri ambiti cruciali. In particolare, ha riguardato il rapporto tra scansioni temporali ridotte, proprie dell’adozione della c.d. procedura accelerata, e durata legittima del trattenimento del richiedente la protezione internazionale. In questo delicato ambito, che invoca una riflessione rigorosa sull’esercizio della potestà coercitiva della pubblica Amministrazione nella conformazione di diritti fondamentali della persona, è stato affermato che per i trattenimenti che seguono ad una domanda di protezione internazionale (per la quale è previsto il canale procedimentale della procedura accelerata) e che, tendenzialmente, seguono ad un primo provvedimento di trattenimento oggetto di convalida, dovuto ad ingresso o soggiorno irregolare, il mancato rispetto dei ristretti termini previsti per tale procedura, relativa alle cd. domande strumentali, non incide direttamente sulla validità ed efficacia del trattenimento, ove non venga denunciata ed accertata un’inerzia colpevole dell’autorità pubblica ma, al contrario, si giustifichi la dilatazione temporale che, comunque non può oltrepassare il termine massimo di 60 giorni in sede di primo trattenimento, per ragioni organizzative dovute al numero degli ingressi e dell’avvio delle procedure (Sez. 1, n. 14 del 2024). L’interpretazione, da un lato, degli artt. 6, commi 5 e 6, del d.lgs n. 142 del 2015 che hanno ad oggetto il passaggio dalla condizione di straniero trattenuto per ingresso o soggiorno irregolare a quella di richiedente protezione internazionale – con diritto a permanere in Italia, ancorché trattenuto, alle condizioni rigorosamente previste dalla legge, fino all’esame da parte della Commissione territoriale della domanda – e, dall’altro, dell’art. 28-bis del d.lgs n. 25 del 2008, norma che detta i tempi della procedura accelerata, impone una delicata operazione di bilanciamento tra il diritto a non essere privato della libertà personale oltre il tempo necessario all’esame della domanda e l’oggetto della richiesta, che, proprio in funzione della rilevanza del diritto, deve poter avere un tempo minimo di sviluppo istruttorio anche in funzione dell’accertamento dell’identità e dell’effettiva provenienza del richiedente.
È stato prescelto un approccio non formalistico, ma di controllo effettivo dell’esercizio della funzione amministrativa di verifica ed accertamento del diritto azionato, nel rispetto delle condizioni di legge, in relazione al rapporto tra durata del trattenimento e singole scansioni temporali relative sia alla formalizzazione dell’istanza di protezione internazionale che ai passaggi endoprocedimentali della procedura accelerata. Il rispetto dei tempi della procedura diventa cogente, nella giurisprudenza di legittimità, in relazione all’esercizio del diritto di difesa effettivo, all’interno del procedimento di protezione internazionale.
La disciplina normativa del trattenimento dei cittadini stranieri, intercettati alle frontiere di terra e nelle zone di transito, è stata oggetto di ampio dibattito interpretativo in relazione ad un profilo diverso, ovvero quello relativo ai requisiti di legittimità dei provvedimenti limitativi della libertà personale. Le decisioni dei giudici di merito di non convalidare per difetto di motivazione caso per caso e per illegittima applicazione della procedura accelerata, sono state impugnate davanti la Corte di cassazione. Quest’ultima, a Sezioni Unite, ha disposto la rimessione alla CGUE (ord. n. 3563 del 2024), sottoponendo alla Corte di Lussemburgo il quesito relativo al grado di individualizzazione della valutazione che deve essere svolta dall’autorità amministrativa per il trattenimento alla frontiera o in zona di transito al fine di verificarne la necessità, la proporzionalità e la ragionevolezza, in particolare in relazione alla effettiva praticabilità della misura alternativa della garanzia finanziaria, sotto il profilo del possibile contrasto con il principio dell’effettività del ricorso che costituisce il cardine del diritto alla protezione internazionale. Con questa rimessione la Corte di cassazione ha sottolineato la necessità del dialogo e della circolarità, non solo nazionale, dei principi applicabili in tema di misure limitative della libertà personale applicate ai cittadini stranieri che richiedano la protezione internazionale, ferma la necessaria saldatura con il catalogo aperto dei diritti inviolabili della persona di derivazione costituzionale.
La CGUE non ha risposto al quesito perché i ricorsi sono stati oggetto di rinuncia da parte dell’Avvocatura dello Stato, incaricata di patrocinare il Ministero dell’interno, dopo un intervento modificativo del decreto ministeriale che stabiliva i criteri di applicazione della misura alternativa della garanzia finanziaria.
Questa vicenda processuale ha di poco anticipato il ricorso al dialogo con il diritto dell’Unione, stimolato dalle rimessioni alla CGUE sulla nozione eurounitaria di “paese terzo sicuro” e sul corretto recepimento della stessa nell’ordinamento italiano e di altri paesi membri.
Anche con riferimento al rapporto tra domanda di protezione internazionale di cittadino di paese terzo incluso nell’elenco dei paesi sicuri la Corte di cassazione è intervenuta con due pronunce che esprimono, da un lato, la riconduzione del diritto alla protezione internazionale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona e, dall’altro, la necessità di una rigorosa operazione di bilanciamento da condurre caso per caso, nell’esame individuale della domanda, in relazione all’interesse pubblico alla regolazione dei flussi, così come scandito nelle previsioni legislative. In questa dialettica operano i principi di proporzionalità dell’ingerenza statuale nella conformazione del diritto d’asilo quali fissati dal sistema eurounitario.
Su questo duplice confronto che investe il sistema interno e quello unionale all’interno dell’assetto assiologico, da un lato, dei diritti della persona, dall’altro, il concreto bilanciamento da eseguire in sede giurisdizionale all’interno del perimetro di regole predeterminate, l’intervento nomofilattico della giurisprudenza di legittimità ha svolto un ruolo importante.
Con due pronunce, entrambe sollecitate dalla felice introduzione dello strumento dialogico per eccellenza tra giudici di merito e di legittimità, costituito dal rinvio pregiudiziale art. 363-bis cod. proc. civ., la Corte ha affermato rilevanti principi, in ordine a quesiti che conducono al tema oggetto dell’intera relazione: il rapporto tra legge e giurisdizione. La definizione del perimetro del potere giurisdizionale di verificare la coerenza eurounitaria e l’attualità geopolitica dell’elenco dei paesi terzi sicuri fa emergere in modo cristallino come la tutela dei diritti fondamentali sia il terreno di elezione di un approfondito esame di questo rapporto, dell’esigenza di non travalicare l’ambito delle rispettive attribuzioni, del potere legislativo e giudiziario, tenendo conto, da un lato, dell’autonomia interpretativa del giudice e, dall’altro dell’ineludibile limite costituito dal testo normativo, salva la verifica di conformità alla Costituzione o al sistema del diritto unionale, da rimettersi, tuttavia, agli organi decisori competenti.
Con la sentenza n. 11399 del 2024, è stato affermato che avverso il provvedimento di manifesta infondatezza della domanda di protezione internazionale, la deroga al principio generale della sospensione automatica degli effetti esecutivi del provvedimento impugnato – applicabile, in particolare, nelle ipotesi in cui la pronuncia negativa derivi dalla provenienza del cittadino straniero da paese terzo designato come sicuro – non opera se la Commissione Territoriale non abbia correttamente applicato la procedura accelerata e non abbia puntualmente rispettato le norme che ne definiscono le scansioni procedimentali. La scelta della procedura accelerata si fonda su una presunzione normativa di strumentalità della domanda ed introduce significative limitazioni all’espandersi del contraddittorio escludendo, in particolare, l’operatività della sospensione degli effetti esecutivi del provvedimento di rigetto, altrimenti applicabile in via automatica.
In questa pronuncia è di peculiare rilievo proprio la definizione dell’ambito del controllo di legalità esercitabile dalla giurisdizione che, nel rispetto pieno del paradigma legislativo (cittadino straniero, provenienza da paese terzo designato come sicuro, presunzione di strumentalità della domanda, adozione della procedura accelerata e conseguente deroga al principio della sospensione automatica) stabilisce, in ossequio ai principi costituzionali, convenzionali ed unionali del rispetto del contraddittorio, che la contrazione del diritto di difesa – particolarmente intensa ove il cittadino straniero sia coattivamente allontanato dal paese di accoglienza mentre è in corso l’esame giurisdizionale della sua domanda – può essere adottata soltanto quando le regole endoprocedimentali proprie della procedura accelerata vengano rigorosamente osservate con particolare riferimento al rispetto degli obblighi informativi verso il richiedente asilo.
La centralità del tema dell’ambito del controllo giurisdizionale sulla designazione normativa generale di un paese terzo come sicuro in un procedimento individuale di protezione internazionale o, come segmento incidentale, della fase di convalida del trattenimento del richiedente, ha assunto particolare rilievo nell’anno 2024, dopo che con decreto interministeriale del maggio 2024, in attuazione di quanto previsto dall’art. 2-bis del d.lgs n. 25 del 2008 è stata aggiornata la lista dei paesi sicuri.
Deve sottolinearsi, in relazione ai ripetuti interventi della Corte di cassazione, sulle domande di protezione internazionale, trattate con procedure derogatorie della disciplina generale (procedure accelerate o prioritarie) in quanto ritenute strumentali, la tempestività della risposta del giudice della nomofilachia, pur nella consapevolezza della complessità ed intedisciplinarietà delle questioni trattate, oggetto del puntuale contributo scientifico dell’ufficio del Massimario.
La rapidità delle risposte ha ulteriormente favorito la circolarità dell’esercizio della nomofilachia in funzione della stabilità e della prevedibilità degli orientamenti, in settori nevralgici per i diritti in gioco, per la numerosità dei casi da trattate, per il diretto coinvolgimento del rapporto con l’esercizio della potestà amministrativa, ancorché vincolata, che caratterizza l’intera materia del diritto cd. dell’immigrazione.
La risposta al quesito sottoposto mediante il ricorso al rinvio pregiudiziale definisce con nitidezza le coordinate all’interno delle quali deve collocarsi la dialettica tra la legge e l’esercizio della giurisdizione, nel rispetto delle peculiari attribuzioni dei due poteri.
In primo luogo, viene precisato che la questione interpretativa “incrocia una pluralità di fonti” all’interno delle quali “si stagliano i diritti dello straniero che, nel disegno personalista che lega la dignità alla solidarietà e all’accoglienza, la Costituzione protegge come fondamentali, sia direttamente sia tramite le Carte internazionali alle quali gli artt. 10,111, 117 rinviano”. Si tratta di questioni che il diritto positivo interno non può esaurire, essendo ineludibilmente collegate ad una cornice di riferimento più ampia cui il legislatore interno non si può sottrarre e che la giurisdizione deve conoscere ed applicare, nell’esame del caso singolo.
La pronuncia sottolinea anche che la gestione del fenomeno migratorio spetta alle istituzioni democratiche e rappresentative, alle quali è riservata anche la scelta politica di prevedere, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo, laddove al giudice spetta garantire, nella singola vicenda concreta, l’effettività della tutela dei diritti fondamentali.
In secondo luogo, la Corte evidenzia, che dalla sentenza della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024 viene l’indicazione di un esame completo ed aggiornato del caso di specie da parte del giudice e, in particolare, della natura procedurale e, conseguentemente officiosa della verifica doverosa sulla corretta designazione del paese terzo di origine del richiedente come sicuro. Dunque, il controllo giurisdizionale è pieno ed involge il potere dovere di procedere ad una valutazione attuale svolta sulla base delle informazioni qualificate previste dal diritto europeo. (le cd. Country of origin informations, provenienti dalla Commissione Nazionale d’Asilo, dall’E.U.A.A., l’Agenzia Europea per il diritto d’asilo e l’UNHCR)
In terzo luogo – ed è uno dei passaggi più rilevanti ai fini dell’intervento sul delicato rapporto tra legge e giurisdizione – il decreto interministeriale non può definirsi un atto politico, in quanto la nozione di paese sicuro ha carattere giuridico e si muove all’interno delle coordinate, ancorché mutevoli, del diritto dell’Unione Europea. L’inserimento è condizionato dal riscontro dei requisiti e criteri dettati dal legislatore europeo, da svolgersi alla luce delle informazioni aggiornate provenienti dalle sopra indicati fonti qualificate.
Il potere di designazione è soggetto ad una “dettagliata disciplina”, procedurale e sostanziale. Ciò implica che è “suscettibile di verifica giurisdizionale” il rispetto dei parametri legislativi europei. L’elenco generale ed astratto non è privo di aspetti politici, ma questi non impediscono di accertare in concreto la sussistenza delle condizioni predeterminate dalla legge europea, alla luce delle informazioni qualificate aggiornate.
La sentenza della Corte precisa anche – si tratta di un passaggio fondamentale nell’economia della pronuncia – che la valutazione governativa non è soltanto un’operazione tecnico-giuridica, come se ci trovasse di fronte a un atto totalmente vincolato e surrogabile dal giudice o a un esito a rime obbligate che l’interprete sia chiamato a desumere, tramite le fonti, dal confronto sillogistico di norma e fatto. Il giudice ordinario, ai fini del pieno e completo esame del singolo caso in quella data controversia, può e deve verificare se il potere valutativo sia stato esercitato con manifesto discostamento dalla disciplina europea o non sia ictu oculi più rispondente alla situazione reale e, più in generale, accertare che il potere non sia stato esercitato arbitrariamente. Si tratta, cioè, di un test di coerenza della qualificazione nel caso concreto con la norma attributiva del potere, che può essere attivato (soltanto) laddove la scelta governativa chiaramente contrasti con la normativa europea e nazionale.
Ne consegue che il giudice può incidentalmente disapplicare l’atto amministrativo che contiene l’elenco dei paesi sicuri ove emerga in modo palmare la mancanza dei requisiti sopra indicati. L’atto conserva la sua efficacia erga omnes ma, nella decisione relativa al caso concreto sottoposto all’esame del giudice, può essere disapplicato, consentendo la riespansione delle ordinarie regole procedurali ed oneri allegativi e probatori.
La soluzione è frutto del dialogo tra le Corti e del contributo stimolante del giudice del merito. Il principio di diritto afferma, da un lato, che la necessità di un esame aggiornato all’attualità e da svolgersi ex nunc, anche officiosamente da parte del giudice, può condurre, ove il contrasto con le fonti qualificate esaminate sia evidente, alla disapplicazione dell’atto amministrativo, incidenter tantum, in tutte le ipotesi in cui l’inserimento del paese terzo di origine del richiedente come sicuro sia rilevante ai fini della decisione.
Questo esame è, tuttavia, condizionato dalle allegazioni del richiedente. Ove vengano dedotte specifiche ed individuali condizioni d’insicurezza e non venga in discussione la inclusione del paese di origine nell’elenco dei paesi terzi sicuri, non sorge l’esigenza della disapplicazione.
La connessione causale con la soluzione del caso concreto delimita, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, il perimetro dell’esercizio del potere dovere del giudice della protezione internazionale, in quanto giudice dei diritti della persona, tenuto a svolgere una verifica rigorosa delle condizioni di applicazione di una procedura peculiare di asilo che comprime i tempi endoprocedimentali, esclude la sospensione automatica degli effetti del provvedimento di rigetto della Commissione territoriale e incide sulla libertà personale del richiedente, disponendone il trattenimento per 60 gg., con termine prorogabile alle condizioni di legge.
L’impegno della Corte sul tema dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri che chiedono asilo nel nostro paese, è stato completato con l’ordinanza interlocutoria n. 34898 del 30 dicembre 2024, con la quale è stato disposto rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte di Giustizia, fissata per il 25 febbraio 2025 in ordine all’ulteriore dubbio interpretativo sottoposto al giudice di legittimità dai ricorsi del Ministero dell’Interno avverso alcuni provvedimenti di non convalida del trattenimento amministrativo disposto dal Questore a carico di richiedenti asilo provenienti da paesi terzi di origine sicuri.
La questione riguarda la corretta interpretazione del sintagma “atti di persecuzione costanti e generalizzati”, in presenza dei quali, secondo il sistema legislativo europeo oggi applicabile (art. 37 ed all. 1 della Direttiva 2013/32/ UE), la designazione di Paese terzo sicuro è impedita.
Ferma l’esclusione dall’elenco dei paesi sicuri, nel sistema legislativo europeo attualmente vigente, dei paesi ove parti di territorio non presentino i requisiti di sicurezza idonei a comporre l’elenco di cui all’art. 36 della Direttiva sopracitata, l’ulteriore dubbio riguarda le c.d. eccezioni soggettive, ovvero quelle che hanno ad oggetto categorie persone o gruppi sociali.
Numerosi giudici italiani e anche il giudice tedesco hanno formulato il quesito alla Corte di Giustizia.
Il Procuratore generale all’udienza del 4 dicembre ha concluso per la sospensione del giudizio di legittimità in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia.
Il suggerimento della Procura Generale è stato sostanzialmente condiviso nella scelta dell’ordinanza interlocutoria di rimessione a nuovo ruolo. La Corte, tuttavia, ha ritenuto di svolgere un ruolo attivo e non di mera attesa della decisione della Corte di Giustizia e, pur non volendosi sottrarre al dialogo con le Corti sovranazionali, ha ritenuto, nello spirito di leale collaborazione che deve caratterizzare il rapporto tra le giurisdizioni degli Stati membri e la giurisdizione europea, di offrire il proprio contributo interpretativo alla corretta configurazione giuridica del rapporto tra eccezioni c.d. soggettive, cioè relative a categorie omogenee di persone, e la nozione di persecuzioni generalizzate e costanti che, secondo l’allegato I della Direttiva 2013/32/UE esclude la designabilità di un Paese terzo come sicuro.
Pertanto, pur affermando che solo all’esito dell’interlocuzione con la Corte di Giustizia dovranno esprimersi principi di valore nomofilattico destinati ad operare anche in futuro in ordine alle questioni da esaminare, in quanto del tutto sovrapponibili con i plurimi quesiti rimessi alla Corte di Lussemburgo, la Corte ha svolto rilevanti affermazioni tese a far emergere, da un lato, gli indicatori della connotazione di uno Stato terzo come stato di diritto e dall’altro, la necessità di distinguere condizioni di insicurezza individuale e persecuzioni generali e costanti.
Secondo la Prima Sezione civile, non sembra possibile applicare la decisione della Corte di giustizia del 4 ottobre scorso in modo automatico ed estensivo ai paesi designati sicuri con eccezioni di categorie di persone per svariate ragioni: le eccezioni personali hanno un grado di oggettività dell’accertamento diverso rispetto all’eccezione geografica o territoriale; inoltre, il considerando 42 della Direttiva 2013/32 esplicita che la designazione di un Paese di origine non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale Paese e questo dato sembrerebbe smentire una interpretazione per sineddoche che dalla insicurezza di alcuni giunga automaticamente alla insicurezza dell’intero Paese terzo.
Al riguardo, la Corte ha affermato che le c.d. eccezioni personali sono compatibili, in linea generale, con la designazione di un Paese come sicuro, ma non possono essere ammesse senza limiti. Deve escludersene, tuttavia, la compatibilità con la designazione del Paese come sicuro a fronte di persecuzioni estese, endemiche e costanti, in quanto contrastanti con i requisiti di cui all’allegato I della Direttiva 2013/32/UE, venendo pregiudicato in tali ipotesi il valore fondamentale della dignità e con esso la stessa essenza dello Stato di diritto la quale colloca il rispetto delle minoranze nel nucleo irriducibile dei diritti fondamentali della persona